"Dalle sabbie dei deserti, dalle solitudini lunghe, gli arabi portarono la propria poesia in Sicilia. Furono i padri a giungere, ma loro, i figli, sebbene nacquero nella patria nuova, interpretarono così a fondo quei cuori, da rimanere per sempre la voce più alta di un sentimento dolce: la nostalgia. La poesia araba di Sicilia fu pregna degli insegnamenti del Profeta [...] ma più sentito e duraturo s'impresse il senso della terra, la nostalgia per il luogo natio. Quando, al sopraggiungere dei normanni, i poeti musulmani abbandonarono l'isola non lasciarono là, alle spalle loro il dolore, forte, per la terra più bella da Allah benedetta. E la Sicilia, dopo due secoli di permanenza, aveva l'animo dolce e tormentato di origine araba. L'esilio, quel tormento, quel fuoco, negli anni non si disperse, assunse in proprio una continuazione autentica, sopravvissuta ai tempi. L'esilio, quell'esilio, coincise con la fioritura di una poesia sublime, indimenticata. Il senso d'esclusione, quello di colpa per avere abbandonato il paese d'origine; questi esiliati trovarono la loro legittimità di poeti nella ricostruzione di un passato indelebilmente cancellato. Con la lontananza, nei ricordi, i campi divennero di una fertilità non osservata altrove; le sorgenti tra le più limpide e fresche che Allah abbia mai creato; le città bianchissime, come colombe. La Sicilia venne amata più intensamente nella condizione del distacco. Le lacrime, amare, accorate, per la casa natia, per la terra perduta. Da quel lembo di spiaggia natio ed ormai perduto, per il musulmano già orfano di patria, ah quanto s'alzò forte il libeccio! E mentre navigava, verso l'esilio, era un tramonto. I rimpianti, tanti, per quel tummunu di Sicilia, folta d'agrumeti, gaia d'aranci in fiore. Ma l'aria profuma ancora di zagara"
(ANTONINO REITANO, in Poesia araba siciliana, APED e Regione Siciliana, 2007)
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